Snapback, un progetto IoT per la sicurezza sul lavoro

L’obiettivo di Snapback è trasformare gli smartphone in assistenti capaci di recepire possibili situazioni di pericolo. La soluzione, basata su due moduli, messa a punto da una startup che ha già avviato un progetto pilota con Enel

Pubblicato il 06 Nov 2015

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Il futuro dei dispositivi mobile? Essere sempre più intuitivi, dicono gli esperti. Gli smartphone non vengono più utilizzati soltanto per chiamare o mandare i messaggi ma sono compagni fedeli della nostra vita e ci aiutano in tantissime azioni quotidiane, dallo shopping all’ascolto di musica, soppiantando per molte funzioni anche l’uso dei computer portatili. Di conseguenza sta cambiando anche il modo di interagire con tutti i supporti mobili, perciò si punta su dispositivi sempre più intuitivi, in grado di “ascoltare” i bisogni degli utenti, riducendo al minimo la necessità di contatto. Diventando sempre più smart, i telefoni cellulari possono anche essere strumenti di prevenzione e di soccorso nel campo della sicurezza, così come dimostrato dai vincitori dell’hackathon romano, The Big Hack, una maratona di programmazione che ha preceduto la Maker Fair, organizzata da Asset Camera (Azienda speciale della Camera del Commercio di Roma) e Codemotion, con il supporto della Regione Lazio, di AgID, Eni, dell’Agenzia per la Mobilità di Roma Capitale e Trenitalia-Frecciarossa. Sviluppatori, ingegneri, designer, startupper, studenti, maker e operatori della comunicazione sono stati chiamati a misurarsi nel settore dell’Internet of Things, con focus specifici su mobilità, open data e sicurezza sul lavoro. Ogni partner ha premiato i vincitori della propria challenge, mentre il premio speciale di tutto l’hackathon, consegnato durante l’ultima European Maker Fair di Roma, è stato assegnato alla startup Snapback per il progetto “Safe Back – Ritorno al sicuro”, per la sfida sulla sicurezza sul lavoro promossa da Eni. Giuseppe Morlino, ceo di Snapback, insieme con Giovanni Laquidara, Simone Severini, Alessandro Mancini, Claudio Capobianco e Cristina Bonaccurso, ha presentato un prototipo in grado di rendere lo smartphone, insieme con sensori e wearable, uno strumento per prevenire alcune tipologie di incidenti sul lavoro e di gestire tempestivamente l’emergenza.

La sfida proposta da Eni chiedeva soluzioni innovative per minimizzare il rischi di incidenti e infortuni in ambito industriale (stabilimenti, raffinerie, depositi), con particolare attenzione alle attività ad elevato rischio per l’incolumità degli operatori, come quelle di sollevamento (pericolo di schiacciamento, quando si entra nell’area di manovra di mezzi in movimento come una gru), lavori svolti in isolamento (impossibilità di mandare segnali di emergenza qualora necessari) e in spazi confinati o sospetti di inquinamento.

“L’hackathon è stata l’occasione per ampliare di funzionalità il prototipo già sviluppato in collaborazione con Enel – spiega il ceo Morlino -. Una soluzione per smartphone e altri wearable basata su due moduli: uno per il supporto delle attività del lavoratore (con l’obiettivo di facilitare le operazioni) e l’altro di emergenza (fast response, rilevazione immediata della situazione critica e tempestiva allerta per attivare i soccorsi). Dall’analisi degli studi Inail abbiamo visto che tra le principali cause di morti bianche, soprattutto in settori come quello delle costruzioni, ci sono la caduta del lavoratore dall’alto e la caduta dall’alto di gravi/schiacciamento (con una media del 24 per cento del totale delle morti nel 2011 e nel 2012 e del 21 per cento nel 2013). Anche il tema della sicurezza stradale è strettamente connesso perché molti incidenti (circa il 37 per cento) avvengono per l’utilizzo di mezzi di trasporto. Il nostro obiettivo è di sviluppare soluzioni per la sicurezza sul lavoro e poi di concentrarci anche su quella stradale e l’hackathon è stata un’ottima occasione per posizionarci in questo campo. Con le nostre soluzioni è possibile gestire preventivamente il rischio, con evidenti ripercussioni in campo assicurativo”.

L’obiettivo di Snapback è di trasformare “gli smartphone in assistenti capaci di recepire possibili situazioni di pericolo per gli utilizzatori”, spiega Ester vigilante, coo di Snapback con una formazione da linguista. “Abbiamo sviluppato interfacce multimodali rivoluzionarie – continua – nella gestione del rapporto uomo-macchina, per mettere l’uomo e i suoi bisogni al centro dello sviluppo tecnologico. Siamo convinti che l’innovazione debba avere un beneficio per la collettività il più elevato possibile, per questo motivo consideriamo la sicurezza come un mindset, un atteggiamento mentale”.

Snapback, startup della rosa di Luiss Enlabs, sostenuta da LVenture Group, ha già avviato un progetto pilota con Enel, avendo ricevuto un totale di 150 mila euro da INternet Cleantech ENablers Spark (INCENSe), un progetto sponsorizzato oltre che dalla stessa Enel anche dalla spagnola Endesa, dall’incubatore danese Accelerace e da quello polacco FundingBox. Il programma, che fa parte dei Future Internet Accelerators di Fiware, sostenuto dalla Commissione Europea all’interno del Future Internet Public Private Partnership, è nato per supportare gli imprenditori nella creazione di soluzioni digitali eco-friendly, ampliando le assunzioni nel settore energetico europeo.

“Durante il primo anno di attività – racconta Morlino – ci siamo concentrati sullo sviluppo tecnologico di uno strumento che ci permettesse di creare interfacce più naturali per cambiare la relazione tra uomo-device mobile. Abbiamo visto che ci sono molte aziende pronte ad innovarsi nel settore della sicurezza. Grazie ad Enel, e ora speriamo di proseguire con Eni, stiamo concentrando le nostre forze nel settore della sicurezza delle persone, sul lavoro, su strada e in tutte le aree possibili di applicazione”.

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