Per impresa a significativo impatto sociale si intende l’organizzazione che introduce innovazione sociale, cioè ‘una nuova soluzione a un problema sociale più efficace, efficiente, sostenibile o giusta rispetto alle soluzioni esistenti e per la quale il valore creato è principalmente attribuito alla società nel suo insieme piuttosto che ai privati’ .
Spesso l’impresa a impatto sociale è confusa erroneamente con l’impresa non-profit, ma in realtà non è così: se è vero che la non-profit è solitamente ad impatto sociale, non è automaticamente vero il contrario. Anzi, è sempre più diffusa l’impresa a impatto sociale e for-profit, un’impresa quindi che fa business, che genera valore e ricchezza, ma la cui missione è creare prodotti o servizi o modelli innovativi capaci di incontrare bisogni sociali e generare sviluppo economico.
Anche in Italia il settore cresce, soprattutto grazie al ruolo innovativo delle startup, ed è pertanto molto importante verificare in che modo anche gli attori intermedi dell’ecosistema di sostegno alle startup, come incubatori e acceleratori, si stiano nel nostro Paese affiancando a questo genere d’impresa.
Ha assunto questo compito di monitaraggio il neonato Social Innovation Monitor, un gruppo del Politecnico di Torino (Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione) dedicati all’analisi dell’innovazione e dell’imprenditorialità sociale guidati dal prof. Alessandra Colombelli e il prof. Paolo Landoni, che si è avvalso della collaborazione di Italia Startup e del supporto di Cariplo Factory, Compagnia di San Paolo, Impact Hub Milano, Make a Cube3, SocialFare e Social Innovation Teams.
Quali sono i dati più significativi della ricerca?
Prima di tutto il fatto che circa il 50% degli incubatori italiani ha dichiarato di supportare startup a forte impatto sociale. Tra i settori di appartenenza di queste giovani società, quello più rappresentato è legato alla cultura, alle arti e all’artigianato (20%), mentre al secondo posto si trova il settore che include le organizzazioni che operano in ambiti legati alla salute e al benessere (18%), poco più indietro settori quali lo sviluppo di comunità (23%) e la protezione ambientale(21%).
Paolo Landoni del Politecnico di Torino, coordinatore della ricerca, ha sottolineato “gli incubatori italiani stanno crescendo e diversificandosi sia in termini di settori sia in termini di modelli di business. Particolarmente interessante è la scelta di un numero crescente di queste realtà di focalizzarsi su imprese a significativo impatto sociale e tale specializzazione potrebbe essere un elemento efficace di differenziazione per il nostro Paese”.
Un confronto più specifico tra startup incubate a impatto sociale e non a impatto sociale, rende evidente un fatto: che quanto a fatturati e numero dipendenti le due categorie d’impresa sono pressochè equivalenti.
“Questo smonta un po’ quel tipo di stereotipi e distinzione tra startup a vocazione sociale e non a vocazione sociale, secondo i quali le prime non prendono investimenti, non fatturano. Le startup a vocazione sociale sono profit quanto le altre. – afferma Federico Barilli di Italia Startup. – La ricerca offre diversi spunti interessanti, è il primo lavoro in assoluto di questo tipo che viene fatto, confidiamo di poterlo replicare, anche perché è stato accolto molto bene e c’è molta voglia di collaborare sia sul tema incubatori che su quello della social innovation che è oggi uno dei temi verticali a livello mondiale.”
Un altro dato che emerge è il ruolo marginale del pubblico in relazione al tema social innovation: su 162 incubatori mappati in Italia, oltre il 60% ha natura pubblica; ma se si entra nel dettaglio si scopre che il 90% degli incubatori sociali è di natura privata e oltre il 60% dei cosiddetti ‘mixed incubator’ (sociali per metà).
Tra i servizi offerti dagli incubatori, quelli ritenuti decisivi dai social incubators sono quelli di valutazione dell’impato sociale e di formazione e consulenza su CSR ed etica aziendale. Anche la formazione imprenditoriale e manageriale è considerato un servizio molto importante per coloro che incubano startup a vocazione sociale.
Circa il 60% degli incubatori italiani si trova nella parte settentrionale della Penisola, al primo posto troviamo la Lombardia, che ospita il maggior numero di incubatori (25,3% del totale). Seguono Toscana (9,9%) ed Emilia-Romagna (9,3%). Buona parte dell’area meridionale e insulare è piuttosto povera di strutture con solo il 17,9% degli incubatori totali. Al sud, la zona con la minor concentrazione di incubatori, il primato va alla Sicilia.