La crescita della popolazione mondiale
Nel 2050 ci saranno circa 10 miliardi di individui sul pianeta. La storia dell’umanità ci dice che ci sono volute migliaia di anni (dalla comparsa dell’uomo fino al 1800) prima che la popolazione mondiale raggiungesse il primo miliardo, ma sono stati sufficienti un paio di secoli per raggiungere i 7,7 miliardi odierni: il secondo miliardo è stato raggiunto in 130 anni (1930), il terzo miliardo in 30 anni (1960), il quarto miliardo in 15 anni (1974) e il quinto miliardo in soli 13 anni (1987). (fonte Worldometers).
Questi dati aggregati del pianeta, non sono però sufficienti a capire quello che avviene.
Il cambiamento demografico si sta polarizzando in due direzioni: una parte del mondo, tra cui c’è l’Italia, ha un tasso di crescita negativo (il famoso problema ‘non si fanno più bambini’) e un forte invecchiamento della popolazione (in Italia e Giappone l’età media è 48 anni); dall’altra, nei paesi emergenti, il tasso di crescita è ancora molto elevato e l’età media è piuttosto bassa (in tutti i paesi africani si aggira tra i 16 e 20 anni). Ecco cosa dice PWC in proposito:
Il ritmo dei cambiamenti varierà sostanzialmente da una regione all’altra. La popolazione africana – quella a più alta crescita – è destinata a raddoppiare entro il 2050, quella europea si ridurrà. La fertilità in America Latina rimarrà superiore alla mortalità. L’età media in Giappone nel 2050 sarà di 53 anni – in Nigeria sarà di 23.
Questi sviluppi hanno profonde implicazioni sia a livello locale che globale. Tutti i paesi dovranno attuare politiche coraggiose per far fronte a questi cambiamenti demografici. In Nord America e in Europa, così come in gran parte dell’Asia e dell’America Latina, sostenere l’invecchiamento della popolazione richiederà una maggiore partecipazione delle donne e degli anziani alla forza lavoro, e forse anche livelli di immigrazione più elevati. La popolazione più giovane dell’Africa è una grande opportunità, ma richiederà le giuste condizioni politiche per massimizzare i benefici di questo dividendo demografico: più giovani è un vantaggio solo se si possono generare abbastanza posti di lavoro per loro.
La maggioranza della popolazione mondiale risiederà, nei prossimi decenni, nell’area geografica che comprende India, Pakistan, Cina, Indonesia, Filippine, Bangladesh, Vietnam.
Fino a quando la popolazione continuerà a crescere?
L’imprenditore visionario Elon Musk, cavalcando le tesi di alcuni teorici della demografia, ha già in più occasioni segnalato con preoccupazione che lo slancio demografico non durerà per sempre, a un certo punto ci sarà un’implosione demografica che potrebbe addirittura portare al collasso della nostra società. Sicuramente l’attuale tendenza mette a rischio la tenuta di sistemi sociali di welfare come quello pensionistico o lo stesso sistema sanitario. Sta quindi ai governi individuare politiche adeguate ad evitare i tracolli che, senza correttivi, necessariamente ci saranno.
Un recente libro, Empty Planet, scritto dal giornalista John Ibbitson e il politologo Darrell Bricker (qui un’intervista su Wired) giunge a una conclusione ancora più radicale, sconfessando i modelli predittivi delle Nazioni Unite, che a loro parere tengono conto solo di tre variabili: i tassi di fertilità, morte e migrazione. Non tengono affatto in considerazione il fattore ‘conoscenza’, ovvero come anche attraverso l’accesso a internet anche nei paesi più poveri le persone, e le donne in particolare, siano in grado di conoscere meglio i temi della sessualità e contraccezione, dei propri diritti, cambiando la propria visione sulle vecchie norme intorno alle famiglie e alla fertilità. Ciò si rifletterà sui tassi di crescita della popolazione, che invece di continuare a crescere, si stabilizzerà tra circa 30 anni – e poi inizierà a diminuire, forse per sempre.
Da un punto di vista dei dati, è difficile fare previsioni a lungo termine su una materia come questa, poichè non si conoscono le variabili che possono entrare in gioco nel corso degli anni. Tuttavia le Nazioni Unite hanno provato a farne qualcuna: secondo lo scenario intermedio, prevedono che per il 2300 la popolazione mondiale sarà poco meno di 9 miliardi. Infatti, una volta raggiunto il picco di incremento, dal 2050 in avanti comincerà a diminuire progressivamente. Sul lungo termine la più alta crescita della popolazione è prevista per l’Africa. Le zone attualmente conosciute come India, Cina, Stati Uniti e Pakistan rimarranno nel loro ordine come i più popolati al mondo.
Quali saranno le conseguenze?
Il primo pensiero va al consumo delle risorse: il pianeta ha risorse sufficienti per tutta questa popolazione? Cibo, acqua, energia?
E come impatterà sul nostro già compromesso equilibrio ambientale?
Ogni settimana si registrano 1,5 milioni di persone in più nel mondo, ogni secondo 5 persone nascono e due muoiono. Ma le risorse del nostro pianeta non sono infinite: la domanda umana di risorse come acqua, terra, alberi ed energia non può spingersi oltre un certo punto, già oggi a pagare il prezzo della antropizzazione è l’ecosistema naturale, piante, animali, clima.
“La sostenibilità ambientale necessaria non è raggiungibile senza la stabilizzazione della popolazione mondiale”, sostiene Il Population Media Center.
I rischi cui si va incontro sono dunque quelli connessi con la sovrapopolazione e l’aggravarsi dei problemi del degrado ambientale e del cambiamento climatico.
Invecchiamento della popolazione
Tutti i paesi del mondo registreranno progressivamente un invecchiamento della popolazione, ma sono i continenti Europa, Asia e America Latina ad avvertirne gli effetti: in Europa il calo della popolazione in età lavorativa sarà particolarmente acuto, con ripercussioni già fonte di preoccupazione, sui sistemi previdenziali, sanitari, economici e gli equilibri sociali. L’Asia, ad esempio, ha nove persone in età lavorativa per sostenere in media ogni persona anziana (anche se le tendenze variano notevolmente da paese a paese). Entro il 2050 tale numero si dimezzerà, passando a quattro persone. In Europa, per ogni quattro persone in età lavorativa per anziano nel 2015 ce ne saranno solo due entro il 2050, sostiene PWC. Per ovviare a tale carenza sarà necessaria una maggiore partecipazione della forza lavoro da parte di due gruppi: le donne e gli stessi anziani.
Il WEF dedica molta attenzione a questo tema, sottolineando rischi ma anche opportunità che il tema presenta. Le proiezioni globali per il 2050 sono da capogiro: 1,6 miliardi di persone oltre i 65 anni e 400 trilioni di dollari per le pensioni che mancano. Ciò si traduce in un deficit di 250.000 dollari per il pensionato medio, che farà fatica a pagare le spese di base come l’alloggio, il cibo e la sanità. Negli ultimi anni si è sviluppata maggiore consapevolezza tra le nazioni sul fatto che i fenomeni paralleli di invecchiamento e longevità minacciano sia le economie sviluppate che quelle emergenti. C’è un pari riconoscimento del fatto che, a causa della realtà demografica, i tradizionali regimi pensionistici “pay as you go” non possono più essere l’unica fonte di reddito pensionistico adeguato. Anche perché altri fattori influenzano negativamente: la crescente urbanizzazione che spezza i legami familiari e rende più fragile la rete di solidarietà sociale; la crescita del ‘lavoro nero’, che non contribuisce al modello pensionistico e lascia senza previdenza sociale il lavoratore.
Ciò va affrontato da governi e organizzazioni aziendali in modo sinergico per raggiungere l’obiettivo da un lato di aumentare il numero di lavoratori agganciati al sistema pensionistico; dall’altro è necessario educare le persone a tutelarsi con forme anche privatistiche di risparmio e previdenza che garantiscano una ‘vecchiaia’ serena.
L’invecchiamento della popolazione è destinato a diventare una delle trasformazioni sociali più significative del XXI secolo, con implicazioni per quasi tutti i settori della società, dal mondo del lavoro al sistema economico (servizi finanziari, domanda di beni e servizi, come gli alloggi, i trasporti e la protezione sociale), fino ai fondamenti della società, come strutture familiari e legami intergenerazionali.
Secondo i dati di World Population Prospects 2017, il numero di persone anziane – di età pari o superiore ai 60 anni – dovrebbe più che raddoppiare entro il 2050 e più che triplicare entro il 2100, passando da 962 milioni nel 2017 a 2,1 miliardi nel 2050 e 3,1 miliardi nel 2100. A livello globale, la popolazione di 60 anni o più cresce più rapidamente di tutte le fasce di età più giovani.
Longevità
Secondo le Nazioni Unite, a livello globale, l’aspettativa di vita alla nascita è aumentata di 3,6 anni tra il 2000-2005 e il 2010-2015, ovvero è passata da 67,2 a 70,8 anni. Tutte le regioni hanno condiviso l’aumento dell’aspettativa di vita in questo periodo, ma i maggiori guadagni sono stati registrati in Africa, dove l’aspettativa di vita è aumentata di 6,6 anni tra questi due periodi, dopo essere aumentata di meno di 2 anni rispetto al decennio precedente. L’aspettativa di vita in Africa nel 2010-2015 è stata di 60,2 anni, rispetto ai 71,8 in Asia, 74,6 in America Latina e Caraibi, 77,2 in Europa, 77,9 in Oceania e 79,2 in Nord America.
Oggi gli over 65 sono circa 13.672.000 (Istat), pari al 22,6% della popolazione attuale e saranno 34 milioni entro il 2050 (34%): l’impegno dei nonni (nella cura dei nipoti) vale oggi 24 miliardi di euro, il sostegno economico ai figli e alle loro famiglie vale 5,4 miliardi, danno lavoro a 3 milioni di assistenti familiari, contribuiscono all’industria turistica per 6 miliardi di euro all’anno (dati Federanziani).
Gli ‘over 65’ sono oggi un target per servizi finanziari e assicurativi molto più interessante dei Millennials.
La domanda che molti studiosi si pongono è se la longevità umana continuerà a migliorare ancora o, al contrario, arretrerà.
Anche in questo caso le previsioni a lungo termine sono difficili da fare, le variabili sono tantissime, tra lo scenario migliore e quello peggiore ci sono differenze drastiche, dovute soprattutto all’intervento o meno della società rispetto a fattori di rischio per la salute e la longevità umana che sono sotto gli occhi di tutti (si va da malattie contagiose come l’HIV alla malnutrizione dei paesi poveri, fino alle ‘piaghe dei paesi sviluppati come obesità e in generale cattiva alimentazione, fumo, alcol, inquinamento).
Tra gli scenari più pessimisti, uno studio su The Lancet, condotto all’Università di Washington, offre proiezioni sull’aspettativa di vita futura in 195 paesi nel 2040 e ipotizza anche un peggioramento in alcune condizioni dei fattori di rischio e di mortalità prematura legate a ipertensione, obesità, iperglicemia, fumo, alcol e inquinamento.
“Il processo di invecchiamento è molto più malleabile di quanto pensassimo e stiamo ancora, in un certo senso, cercando di recuperare il ritardo nella nostra ricerca per capire da cosa deriva questa malleabilità, fino a che punto potremmo andare avanti e, nelle nostre società, stiamo cercando di dare un senso a un mondo in cui continuiamo a invecchiare”. (
Da un punto di vista assicurativo, si sostiene in questa intervista di Odette Cesari di Axa IM, l’attenzione andrebbe portata oggi sull’aspettativa di vita calcolata dall’ingresso nella terza età (65 anni) piuttosto che considerarla secondo il metodo tradizionale, vale a dire dalla nascita. Una maggiore longevità significa in questo senso che si allunga la vita ‘da pensionati’, quindi il periodo in cui non si è più età lavorativa ma in cui si attivano ‘prodotti’ previdenziali che dovranno durare più a lungo di quanto originariamente considerato.
Megacity
Le megacity sono le città con oltre 10 milioni di abitanti, nel 1950 erano due: New York e Tokyo. Oggi sono 33 e saranno almeno 40 entro il 2030. L’area di Shanghai potrebbe già nei prossimi due anni trasformarsi in una gigacity con una popolazione di 170 milioni di abitanti, il doppio della Germania, si dice in questo articolo di Allianz.Entro il 2050, il 68% della popolazione mondiale (contro il 55% attuale) vivrà in città, in mega-città. Perché questa spinta all’urbanizzazione, combinata con la crescita complessiva della popolazione mondiale, porterà non solo altri 2,5 miliardi di persone alle aree urbane entro il 2050, (di cui il 90% di questo aumento in Asia e Africa), ma alla crescita esponenziale di determinate città, in determinati paesi. India, Cina e Nigeria rappresenteranno il 35% della crescita della popolazione urbana mondiale prevista tra il 2018 e il 2050. Entro il 2050, si prevede che l’India avrà aggiunto 416 milioni di abitanti delle città, la Cina 255 milioni e la Nigeria 189 milioni. La mappa interattiva qui di seguito realizzata da World Resources Institute mostra le città in espansione orizzontale e verticale.
La popolazione urbana del mondo è cresciuta rapidamente da 751 milioni nel 1950 a 4,2 miliardi nel 2018. L’Asia, nonostante il suo livello di urbanizzazione relativamente più basso, ospita il 54% della popolazione urbana mondiale, seguita da Europa e Africa con il 13% ciascuna.
Oggi, le regioni più urbanizzate comprendono il Nord America (con l’82% della popolazione che nel 2018 viveva in aree urbane), l’America Latina e i Caraibi (81%), l’Europa (74%) e l’Oceania (68%). Il livello di urbanizzazione in Asia è attualmente pari al 50% circa. Al contrario, l’Africa rimane prevalentemente rurale, con il 43% della popolazione che vive in aree urbane.
Ma nei prossimi anni sarà proprio l’Africa ad ottenere i più alti tassi di crescita della popolazione urbana, superando anche l’Asia.
Per fare un esempio Lagos, in Nigeria, è oggi una città di 22 milioni di abitanti, esplosa da piccola cittadina in megalopoli in pochi anni, estendendosi per lo più orizzontalmente in baraccopoli per 452 miglia quadrate: meno del 10% delle persone vive in case con allacciamenti fognari; meno del 20% ha accesso all’acqua del rubinetto. Un’idea molto lontana da quella delle ‘smart city’ iperconnesse, in grado di garantire il massimo benessere ai suoi abitanti.
La megalopoli ideale, la città intelligente, è un modello di sostenibilità possibile, che trova nella tecnologia, nell’innovazione e nella connettività una leva per migliorare la qualità della vita di tutti i suoi abitanti, attraverso un positivo impatto ambientale, l’accesso a risorse e servizi alla persona. Secondo il WEF sono 5 le principali sfide che si pongono alle megacity: salvaguardia ambientale, utilizzo delle risorse primarie (acqua, cibo, energia), disuguaglianze sociali, tecnologia e governo.
Urbanizzazione e megalopoli stanno ridefinendo il modo in cui gli esseri umani vivono, lo stile di vita, le sue priorità, i suoi bisogni e le sue preoccupazioni e rappresenta una grande sfida per il mondo assicurativo.
Tra i nuovi rischi cui le megacity dovranno far fronte vi sono le catastrofi naturali, epidemie, terrorismo e attacchi informatici.
Articolo originariamente pubblicato il 04 Mar 2019